Qualche giorno fa mi sono chiesto, come fosse stato possibile che una bellezza così straordinaria come la catena del Monte Bianco vista da Chamonix, mi fosse passata sotto gli occhi, solo pochi anni fa, come una normale immagine di montagna.
In questi giorni di facile attività in bassa valle, ci ho riflettuto e sono giunto ad un’ipotesi.
Ho scalato molte di quelle vette che osservo e ho camminato su quei ghiacciai e tornato in valle, a Chamonix così come a Courmayeur o in molti altri luoghi di montagna, non vedevo la stessa bellezza che mi sembra di scorgere in questi giorni di attività “rallentata”.
Perché sono più vecchio? sono più maturo? o sono semplicemente cambiato?
La risposta che credo di aver trovato risieda nel mio Ego.
Anni fa, quando fermo alla base delle montagne guardavo dove ero stato o dove avrei voluto andare, non vedevo la straordinaria bellezza di un quadro naturale, vivo, reale. Non vedevo i meravigliosi disegni delle guglie scagliate a fil di cielo, le grigie pareti verticali di pinnacoli inaccessibili e solcati da nevai verticali, non riconoscevo l’incredibile in quelle lingue bianche e nere di ghiaccio che scendono fin dentro il verde scuro di un bosco di conifere, tantomeno vedevo le linee sinuose, arrotondate dal vento e dal sole, delle vette più elevate.
Non riuscivo a distinguere l’eleganza del dipinto, i colori sfumati delle pareti, le delicate venature degli abeti, dei larici, del giovane bosco che si insinuava laddove il seracco si ritirava colpito dall’afoso caldo della valle estiva.
Non lo potevo fare e non lo sapevo fare. Non vedevo la bellezza della montagna sopra di me perché io, in realtà io, mi percepivo dentro quella bellezza. Io ero parte integrante di essa.
Le guglie, le pareti, i seracchi, le vette, le lingue di neve, gli spigoli, le fessure, i crepacci, i sentieri, io.
La parete verticale di una guglia che si stagliava nel blu del cielo includeva le mie dita spellate, doloranti e ricche di piacevole soddisfazione. Le calotte sommitali delle montagne più elevate includevano le lacrime rubate dalle folate di vento. Le lingue di ghiaccio avevano al loro interno le mie impronte che a volte sicure, a volte timorose, cercavano il miglior modo per oltrepassare i crepacci.
Tutto era li perché io ero li. Tutta quella bellezza esisteva perché io ero bellezza insieme al tutto. Non sarebbe esistita una montagna senza un me che la saliva.
La fortuna, l’intelligenza o forse solo la giovinezza, non mi permisero di capire il contesto, non percepii mai ciò che vidi oggi. Il mio Ego non ne volle respirare la vanità, e fu la mia salvezza.
Se solo avessi capito che stavo guardando una rara meraviglia del mondo e che quella esisteva grazie alla mia capacità e desiderio di essere parte di essa, se avessi intuito che tutta quell’energia che avevo nei miei polpastrelli stava creando la bellezza di quella torre di granito, se avessi visto quanto la bellezza di un ghiacciaio fosse creata dalla mia capacità di attraversarlo; se fosse successo, avrei potuto sentirmi immortale. Avrei potuto credere di poter fare qualunque cosa, di poter essere quella natura, di poter creare quella meraviglia, quella forza.
E dentro quelle pareti, sparire per sempre.
Forse devo ringraziare la mia bassa autostima, il mio Ego poco creativo, o forse l’approccio superficiale e immaturo di un giovane in cerca di adrenalina. Ma fu anche grazie a questo che ho potuto sopravvivere all’era degli eroi e portarmi fin quassù, a quasi sessant’anni, e guardare, e godere di una nuova bellezza. Di montagne, di natura, di vita, mai vista prima!