Se lo avessi saputo prima, avrei fatto scelte diverse.
Se qualcuno mi avesse insegnato a non credere troppo nella mia giovinezza. Forse non sarebbe successo!
Ci sentivamo immortali; affrontavamo pericoli inimmaginabili; gestivamo rischi che a raccontarli fanno accapponare la pelle. Tornavamo sempre, più forti di prima, più certi della nostra immortalità; pronti a ricominciare, ad alzare l’asticella, ad elevare la sfida.
Nessuno di noi ha mai pensato che le cose avrebbero potuto andare in modo diverso.
“Per fortuna”, avrei detto allora.
Poi avvenne il primo mutamento.
Cresciuto innamorato della mai grandezza, pensai potesse essere bello insegnarla agli altri, permettere a tutti di sentirsi supereroi, per qualche ora o per qualche giorno.
Alla scuola dei supereroi mi insegnarono ad essere preciso, a sapere interpretare le condizioni, ad anticipare l’imprevisto. Imparai tutto sulle tecniche dei supereroi: gestire la sicurezza, riconoscere la paura, non procrastinare, essere (o sembrare) sempre sicuri di se.
Mi spiegarono le responsabilità da cui non potevo più sottrarmi e mi insegnarono a gestirne il peso.
Ma nessuno mi addestrò ad accettare le mie imperfezioni.
Nessuno mi fece guardare dentro il costume da supereroe, li dove viveva l’essere meno adatto ad affrontare l’ambiente naturale, l’animale più debole tra tutti. E nessuno mai, mi insegnò a gestire i sensi di colpa!
Poi avvenne il secondo mutamento.
Anche nelle più belle storie di supereroi, arriva sempre il giorno dove anche il super sbaglia; non considera tutto, non vede tutto, non anticipa tutto e il tutto si rovescia senza preavviso, trascinandolo nel buio del Super-io.
Sbagliai e persi la mia sfrontatezza da super eroe.
Prima lentamente, come a rallentatore cominciò a scendere nel vuoto. Ma era senza sicurezza. Poi in un attimo, un secondo, meno di un secondo; un eterna frazione di secondo ed era già li, a terra. Era senza la corda salvifica, quella corda che ci illude di poter vincere la gravità. Cadde otto metri più in basso, hai miei piedi.
Solo otto metri, solo un secondo; solo alcuni piccoli dettagli, un’impercettibile mancanza.
La corda, la roccia, il nodo, la mano, l’appiglio, il granito, l’odore, il suono. Lui cade e io vedo la mia inutilità, il mio sgomento, la mia frustrazione. Lui cade e io vedo il mio errore, la mia stupidità. Lui cade e gli altri giudicano. Lui cade e io mi giudico.
Nessuno mi ha mai insegnato, a gestire il senso di colpa.
L’eroe si ritrova uomo, finalmente; così, inizia il suo nuovo mutamento.
È passato un anno dalla caduta dell’eroe e ora, mentre in solitudine camminavo nella valle, cercavo di riprendere contatto con la roccia, la luce del tramonto, l’odore della neve e la mia paura di affrontare nuove sfide.
Sono salito da solo per ritrovarmi e per ritrovare la capacità di accompagnare due giovani amici, domani, verso la loro ricerca dell’eroe e dell’uomo dentro di se. Glielo promisi tempo fa, quando ancora ero eroe, non giudice.
Ho camminato tutto il giorno per allontanarmi dalle mie colpe per ritrovare la mia energia.
Ho sentito la forza della natura, dell’amore, della passione risvegliarsi in me e darmi forza. Quindi mi sono preparato per affrontare i giorni successivi, per regalare ai miei due giovani amici dei momenti memorabili ed io, viverli con loro.
Non potevo sapere che alla fine di questi giorni, mi aspettava un successivo mutamento, l’ultimo, ma non quello definitivo, ancora!